lunedì 27 giugno 2011

Pensiero goloso:La cozza piccin(n)a ...

Ci fu un tempo, prima che il pane fosse condiviso, un tempo in cui l'umano era troppo primitivo per saper coltivare. Era il tempo del nomadismo, della raccolta e della caccia, della necessità di misurarsi con il pericolo, di scegliere se rischiare la vita in lotte cruente o condannare all'inedia se stessi e la propria prole. Cacciare: uccidere o rimanere uccisi, la terribile altalena della natura non lasciava scampo.

Eppure in qualche caso raccogliere e cacciare coincidono, luoghi e tempi fortunati possono congiungere le cose. Catturare le lumache era senz'altro la più semplice delle forme di caccia. Per millenni gli esseri umani hanno potuto nutrirsi dei molluschi con la casa appresso.

Gli antichi Greci ne erano così ghiotti che inventarono un apposito attrezzo per poterle estrarre dal guscio: il kochliàrion da cui deriva senza dubbio alcuno il più moderno cucchiaio.

La umile lumaca ha conservato il patrimonio genetico dei disarmati e dei più gracili consentendo anche a loro la sopravvivenza. La Puglia annovera due lumache edibili: Helix aperta o Cantareus apertus (municeddhra, uddhratieddhru, munaceddhra ecc..) e la più popolare Euparypha pisana (cuzzeddhra o cozza piccinna).

Della prima ne parlammo tempo fa, la seconda mi consente di chiudere questo bellissimo viaggio durato tre anni, mi consente di farlo con grande piacere anche perché la cuzzeddhra, è inserita ormai nell'atlante dei prodotti tipici pugliesi.

Io la preparo contaminando il suggerimento di Massimo Vaglio, massimo mentore riguardo alle erbe selvatiche del tacco d'Italia.

La cuzzeddhra o cozza piccinna si raccoglie di questo periodo nei campi popolati da vegetazione secca alla quale si fissa dondolando al sole, più semplice acquistarla da uno dei tanti venditori professionisti.

Le cozze piccinne vanno lavate accuratamente e lasciate qualche minuto in acqua fredda in modo che si sveglino e si evidenzi l'esistenza di qualche conchiglia il cui abitante è defunto. Si mettono quindi sul fuoco in una casseruola colma d'acqua e si lasciano bollire per una decina di minuti avendo cura di schiumare. A cottura ultimata io le scolo per bene, le verso in una zuppiera con un fondo di OEVO e due spicchi d'aglio, cospargo di sale grosso e di abbondante origano, copro lascio intiepidire. Nel sughetto ci inzuppo il pane casereccio e mangio le cuzzeddhre qualche volta aiutandomi con uno stuzzicadenti o con il più basso dei rebbi di una forchetta comune piegato verso l'interno, più spesso succhiandole direttamente dal guscio e aspirandone il profumo mentre il frutto delizia il palato. Da bere il Grecomusc' della Cantine Lonardo, senza alcun dubbio. Lo so che non è Salentino ma noi siam qui per deprovincializzarci e sorridere.

Termina qui un viaggio splendido, lungo tre anni, fatto di incontri, scambi, panorami splendidi, qualche salita ripida e qualche pezzo di strada sconnessa. Un percorso bellissimo di memoria e di prospettiva futura, di angoli nascosti e di cieli aperti, cose alle quali siamo così abituati da dimenticare che sono rarità e privilegi dei quali possiamo godere.

Mangiare è essenziale per la vita di ciascuno, cibarsi è il fondamento della vita sociale. Non v'è rito, usanza, patto sociale nel quale il “mangiare insieme” non sia suggello di concordia. L'evangelica moltiplicazione di pani e pesci, la trasmutazione di Cana, l'eucaristia sono solo alcuni esempi della sacralità nella nutrizione collettiva.

Che sia lento il vostro desinare, come la lumachina, e permetta di conversare di ascoltare e di conoscere, si vive meglio questa vita e, forse, anche la prossima.

Quando sarà da assegnarci l'eventuale contrappasso, m'immagino il divino cancelliere che dice di chi ci precede: “ha massimamente sbranato”, e il supremo giudice: “che sia sbranato per l'eternità ...”; “ha massimamente affettato”, e il supremo giudice “che sia affettato per l'eternità”; e al nostro turno “ha massimamente … ehm... assunto lumache aspirandole direttamente dal guscio”. Vedere la faccia del supremo giudice che deve assegnarci la pena non ha prezzo!

A settembre ci ritroveremo, rinnovati e rutilanti. E ricordatevi che il convivio sconfigge la solitudine. Con osservanza.(Pino De Luca)


domenica 19 giugno 2011

Politica:Uscire dall'incubo con gli occhi aperti

Lo so, è in ritardo, non é sulla notizia e nemmeno urlato. Forse a nessuno importerà e deluderà chi voleva, da me, sapere delle amministrative, dei referendum e del terremoto politico.

Ma rimango della convinzione che per capire bisogna chiudere gli occhi, come faceva il mitico Poirot, sedersi e pensare, lasciare che le piccole cellule grigie mettano in ordine, almeno in uno dei millanta possibili ordini, le schegge impazzite che volteggiano nei cieli di questo 2011. Forse i Maya avevano ragione, forse per davvero il 2012 sarà l'anno della fine del mondo. Almeno del mondo che conosciamo, governato da regole che non funzionano più, che sono incapaci di rispondere alle esigenze di chi il mondo popola e vuole continuare a popolare. Dovrei cominciare, a rigore, dai massimi sistemi. Troppo lungo e tedioso. Comincio dal minimo: la fine dell'incubo berlusconiano sbocciato, come tutti gli incubi, per indigestione.

Per decenni l'amorfa moltitudine dei singoli ha ingoiato pessimi comportamenti, mascherati da discorsi profumati e dai colori accattivanti, sapori speziati che nascondevano merce avariata e maleodorante. L'amorfo popolo, privo delle difese che organizzazioni severe e financo plumbee implose per l'evolvere della storia hanno garantito per qualche decennio, è stato esposto e trascinato nel gozzoviglio.

Ha ingurgitato liberamente robaccia, anche quella venduta al mercato nero da chi lasciò la lunga strada della dirittura morale e della rigorosità personale per imboccare quella della “cultura di governo”. Intendendo con quest'ultima sostanzialmente l'arte di fottere il prossimo dopo aver fottuto tutti quelli che venivano prima.

Poi però si è trattato di digerire, e la natura deve fare il suo corso. Qualcuno ha vomitato, altri hanno vissuto la dissenteria, altri ancora si sono ammalati di fegato.

Tutto questo poteva continuare tranquillamente se l'unico mezzo di nutrizione fosse stato il canale di distribuzione del mangime predigerito. Ma un piccolo mercato si è sviluppato, la grande piazza elettronica ha permesso che i piccoli contadini della cultura del vicolo potessero scambiarsi i loro alimenti. Il lievito madre conservato da qualcuno ha fatto lievitare la farina che qualcun altro aveva nella madia. Il vino buono ha fatto capolino e l'olio, la frutta, la carne e le uova hanno ricominciato a circolare. Dapprima piano, poi sempre di più fino a diventare valanga. E la valanga non risparmia nulla e nessuno, la valanga è fatta di nuovi entusiasmi, di voglia di esserci e anche di grande conoscenza. Essa rivolterà ogni cosa, cambierà il panorama, sovvertirà dal profondo il supermercato dei contenitori di plastica con dentro gli alimenti di plastica.

L'antica profezia sul costruttore di corda si è avverata. Non c'è scampo al grande flusso di redistribuzione della popolazione, alla necessità di vivere il lavoro come realizzazione di sé stessi oltre che come fonte di reddito, alla necessità di provare ad essere felici insieme invece che da soli.

Lo dicono le elezioni? Lo dicono i referendum? Lo dice la rete? Anche, forse, sicuramente. Ma lo dicono soprattutto l'ignoranza dei commentatori più accreditati, l'arroganza dei potenti che non contano nulla, l'affanno dei politici che non comprendono, l'inadeguatezza del sistema dell'istruzione che vuole aprire con chiavi arrugginite delle porte elettroniche a variabili biometriche, le parole di leader che parlano a sale vuote come le loro parole.

A me lo hanno detto, plasticamente, due eventi vissuti: un gruppo di giovani organizzato da un gruppo di giovani ha messo su una performance artistica bellissima, innovativa, colta e, ohibò, produttiva. A Lecce, città del Sud e come tale abbastanza sonnacchiosa nei confronti del nuovo, spesso afona anche verso l'ardito. Ho visto Federica, la ragazza che mi ha invitato, viva, con gli occhi pieni di determinazione. Belle cose, alcune splendide, una mi ha colpito immediatamente: la fila! Fame e sete di conoscenza, e fiducia nei giovani da parte di una fila di “noi” che di giovanile ne sbandieriamo ormai solo spirito. Straordinario.

L'altra è un po' più grande. 18 giugno, festa nazionale di Slow Food. Trecento piazze per il cibo buono, pulito e giusto. Sfuggita di mano a tutti. Un movimento di popolo che si raduna, si organizza le piazze sono trecento, mille, tremila. Ogni luogo diventa piazza di connessione, di convivio, di racconto di costruzione, di speranza. Organizzazioni perfette. Lavoro, economia che gira, felicità tramutata in PIL.

Che tristezza aspettare Pontida, discutere di Tremonti e di Brunetta, vedere persone di Governo e di Potere in fila da un cialtrone come Bisignani per avere un favore, per un piccolo privilegio, per una camarilla.

Che gioia vedere la piazza della FIOM colma, sentire Benigni e Travaglio, Santoro e Vauro e i giovani che stanno insieme agli operai.

Chi non vede il futuro è cieco.

All'entusiasmo, all'intelligenza si sta unendo l'organizzazione. E questo è il principio di una mutazione rivoluzionaria. Noi adulti abbiamo il dovere di farla sbocciare, in avanti. Dobbiamo proporre persone serie che aiutino il processo. Persone alle quali affidare le redini con la missione primaria di rendere distinguibile potere e governo, di assoggettare il primo al secondo. La nostra meravigliosa Costituzione spiega per bene come fare.

Di liberare l'Italia dai ricatti di imbroglioni da due lire, di liberare i ricattati dalle spade di Damocle, di scrivere, per una volta, la vera storia di questo paese, senza omissis e senza reticenze.

Ai giovani, d'età e d'animo, auguro di essere protagonisti. Dite un secco no a chi, per scacciare l'incubo, propone un bel sogno.

È tempo di aprire gli occhi, il mondo nuovo ha bisogno di verità. Buon lavoro ragazzi.(di Pino De Luca)


venerdì 17 giugno 2011

Pensiero Poetico : La Banca del Futuro


Dura è la vita. Per mia sicurezza
verserò nella Banca del Futuro
quantità limitate di valuta.

Dubito che abbia grandi capitali.
E comincio a temere che alla prima crisi
all’improvviso cessi i pagamenti.
-Costantino Kavafis-


giovedì 2 giugno 2011